“Quale felicità? Un dialogo tra filosofia, scienza e religioni” è il titolo di un seminario che si è tenuto nell’aula magna del “Piccolomini”, organizzato dal professor Federico Lozzi (per il Liceo delle Scienze Umane) e dal professor Achille Mirizio (per il Liceo Classico), e moderato dal professor Antonio Vigilante. L’incontro è nato dalla possibilità di incontrare il venerabile Sogan Rinpoche, che fa parte del ristretto gruppo di collaboratori del Dalai Lama che si occupano della trascrizione dei suoi insegnamenti. A dialogare con lui sono stati invitati padre Giancarlo Bruni, della Comunità monastica di Bose, il professor Giuseppe Cognetti, filosofo dell’Università di Siena, il professor Stefano Campi, docente di Analisi Matematica presso la medesima Università, e il professor Massimo Mazzoni, docente di Fisica all’Università di Firenze.
Dopo aver ricordato la condizione di oppressione che vive il popolo tibetano, il venerabile Sogan Rinpoche ha mostrato come nel buddhismo il tema della felicità si leghi a quello della cura della mente. Anche se non ce ne rendiamo conto, c’è in noi una mente limpida, capace di gioia e di pace, che dobbiamo scoprire attraverso la pratica della meditazione. Padre Giancarlo Bruni ha centrato il suo intervento sulla questione del senso. Siamo felici nella misura in cui riusciamo a dar senso alla nostra vita, una impresa che è possibile solo avviando una ricerca – nelle sue parole: una navigazione – dentro di noi. La vita buona è quella che si rende capace di una triplice cura: di sé, dell’altro e del creato. E la cura di sé non va intesa come narcisismo, ma al contrario come una liberazione dalla idolatria dell’io.
Filosofo interculturale che ha studiato in particolare il pensiero indiano, Cognetti ha ripercorso i suoi primi studi sulla felicità in Feuerbach, un filosofo che insegna soprattutto a superare gli assolutismi. Inseguire nella vita degli assoluti vuol dire esporsi a continue delusioni. Bisogna piuttosto imparare a stare con i piedi per terra, muoversi nel mondo reale dicendo di sì alla vita nel bene e nel male, accettando le cose così come sono.
Il professor Campi ha presentato il sapere matematico come un sapere che non dà risposte alle domande fondamentali della vita, a differenza della filosofia e della religione, ma che svolge una funzione essenziale di igiene mentale, esigendo l’esattezza, la precisione terminologica, la logica stringente, e liberando da idee vaghe e falsi problemi. Nel suo intervento ha evocato la domanda di Ivan nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij: in che modo la sofferenza dei bambini è conciliabile con un qualsiasi senso?
In conclusione il professor Mazzoni ha illustrato, anche con l’ausilio di immagini suggestive, la trascendenza dell’universo e lo straordinario sforzo con il quale l’essere umano conquista sprazzi sempre più ampi di conoscenza. Dopo aver mostrato la marginalità del nostro pianeta nel cosmo, Mazzoni ha concluso il suo intervento, che è stato un elogio della conoscenza esatta, ricordando il “principio antropico” di Brandon Carter, che nella sua formulazione “forte” afferma che “L’universo (e di conseguenza i parametri fondamentali che lo caratterizzano) dev’essere tale da permettere la creazione di osservatori all’interno di esso a un dato stadio”.
Molto apprezzati, anche dal venerabile Sogan Rinpoce, sono stati gli interventi musicali del coro del Liceo Musicale, diretto dal professor Vincenzo Vullo.